Guida alla visita
Introduzione
Il CESPOC (Centro Studi sulla Popular Culture) comprende studiosi, docenti, ricercatori ed altre persone interessate a titolo scientifico e culturale allo studio della popular culture. Il campo di indagini e lo scopo del CESPOC comprendono la raccolta di materiali e documenti e lo studio della popular culture attraverso la selezione, in un campo per definizione sterminato, di specifiche aree e progetti di ricerca. Il centenario della fondazione del movimento scout nel 1907 da parte di Sir Robert Stephenson Smyth, Lord Baden-Powell (1857-1941) e l’opportunità di coordinarsi con una ricerca dell’IDIS hanno suggerito il progetto di una mostra virtuale sul tema e i cicli scout nei fascicoli popolari. La speciale attenzione rivolta a questi ultimi si inquadra nella costruzione progressiva di un Museo virtuale del fascicolo popolare, genere che ha contato fra la fine del XIX e la metà del XX secolo diverse centinaia di milioni di lettori (una sola casa editrice, la canadese Police-Journal, ha venduto settantacinque milioni di fascicoli) prima di essere soppiantata dal successo del fumetto (e della televisione), e che costituisce una parte essenziale della popular culture che è oggi diventato imperativo riscoprire e preservare prima che sia troppo tardi. Infatti i fascicoli popolari erano tipicamente stampati, per garantirne il basso costo, su carta di non eccelsa qualità, così che il trasporto rischia di danneggiarli irrimediabilmente. Mostre ed esposizioni sono dunque come del resto sta avvenendo negli Stati Uniti per i fumetti dei primordi ormai quasi sempre virtuali, anche se i primi tentativi sono stati di portata limitata. Rispetto per esempio al progetto del sistema nazionale canadese Bibliothèque et Archives, realizzato con la mostra virtuale Des Histoires à Bon Marché ! Les romans en fascicules de 1940 à 1952, non pensiamo di essere immodesti affermando che i progetti che il CESPOC sta realizzando con il sostegno della Regione Siciliana sono di ben altra ampiezza e ambizione.
Anche le mostre e i musei virtuali dei fascicoli popolari pongono peraltro dei problemi. La stessa scannerizzazione o fotografia con eccessiva esposizione alla luce pone problemi da tempo studiato ma che comportano a loro volta gravi rischi di danno. Considerando l'importanza essenziale delle copertine per il successo del fascicolo popolare, si è quindi scelta la strada di una scannerizzazione a media illuminazione. Le imperfezioni del risultato faranno forse parte del fascino della mostra, e del costituendo Museo. La mostra offre uno scorcio non piccolo del mondo del fascicolo scout, fornendo anche indicazioni bibliografiche per una ricerca dei pezzi mancanti, peraltro non facile perché molti non si trovano neppure nelle biblioteche, ma occorre rivolgersi a collezionisti privati.
La mostra – con le centinaia di immagini che propone, molte delle quali di pezzi rari o rarissimi – parla, per così dire, da sola. Abbiamo però voluto premettere qualche considerazione generale per collocare il materiale che presentiamo all’interno della storia e della funzione e del fascicolo popolare.
Scout, popular culture e fascicolo popolare
Per popular culture la letteratura accademica maggioritaria intende quel consumo culturale di massa attraverso i prodotti seriali, dal feuilleton al fascicolo popolare e al fumetto. L'inglese popular culture ha mantenuto anche in italiano il senso di una cultura “di massa”, nata con l'irruzione in Occidente dell'alfabetizzazione di un gran numero di persone che, avendo imparato a leggere, volevano delle letture semplici, attraenti e di effetto immediato dove, ancora, il tema del complotto contribuiva sia alla semplicità sia all'effetto. La popular culture risponde alla domanda su “che cosa far leggere” a queste persone scoprendo che è più facile leggere tutto quanto è seriale, ritorna con gli stessi personaggi e con la stessa ambientazione settimana dopo settimana o mese dopo mese. Questa serialità, che si declina in vari modi – prima il feuilleton, poi il fascicolo popolare, la dime novel, il pulp, il fumetto, poi ancora le derivazioni radiofoniche e televisive – costituisce in senso rigoroso lo specifico della popular culture. Tutti e quattro questi generi hanno anche scatenato polemiche e controversie, la cui posta in gioco ideologica andava al di là dei problemi contingenti. In effetti attraverso la popular culture, che è rivolta in particolare a un pubblico giovanile, passa in particolare un percorso educativo, la cui qualità può essere molto diversa a seconda dei miti e dei simboli che sono di volta in volta evocati. Né il percorso educativo della popular culture può essere considerato in astratto, dal momento che interagisce con altri percorsi educativi concreti che sono proposti ai giovani nella vita sociale.
Elemento essenziale nella storia della popular culture è il fascicolo popolare. Per una serie di ragioni che hanno a che fare con tre fattori – il successo dello scautismo in due paesi centrali per il fascicolo popolare, Italia e Francia; il tentativo di istituzioni “rispettabili” del mondo dell’educazione di inserirsi nel mondo del fascicolo popolare, di cui erano state spesso critiche, per farne strumento di formazione educativa; e le scelte personali di un singolo autore, Jean de la Hire (1878-1956) – le storie di scout (precedute nel mondo dei fascicoli da quelle degli avventurosi allievi delle public school inglesi, senza però che vi sia una derivazione diretta) diventano un elemento fondamentale di questo genere e trasformano lo scout in un’icona della cultura popolare in un lungo periodo che va dagli anni 1910 alla Seconda guerra mondiale (in Italia, tramite le traduzioni, si arriva fino agli anni 1950).
Esiste una vasta letteratura, soprattutto francese, sulla diffusione dello scautismo tramite la popular culture, che però si concentra sulle serie di romanzi per ragazzi e in particolare su una, Signe de piste, che esiste ancora oggi e che fu fondata nel 1937 da tre scout cattolici di idee politiche conservatrici, l’illustratore Pierre Joubert (1910-2002) e i romanzieri Pierre Lamoureux (1912-2005), che usava lo pseudonimo di Jean-Luis Foncine, e Yves de Verdilhac (1910-1998), che firmava con lo pseudonimo di Pierre Dalens, autore della fortunatissima serie del Principe Éric, principe scout del minuscolo Principato di Swedenborg (l’uso del nome del mistico svedese Emanuel Swedenborg (1688-1772), per il nome dello staterello sembra qui più o meno casuale). Nonostante la presenza di collezioni rivali, come Jamboree, il successo di Signe de Piste resta ineguagliato. Il suo contributo alla formazione dell’immagine giovanile dello scautismo – su cui cfr. Christian Guérin, “La Collection ‘Signe de piste’. Pour une histoire culturelle du scoutisme en France”, Vingtième Siècle. Revue d’histoire, vol. 40, n. 40, 1993, pp. 45-61 – non deve essere dimenticato quando ci si concentra sulla polemica politica. Certamente i tre fondatori non solo si schieravano fermamente nel campo dello scautismo cattolico, e l’epoca d’oro della collezione è tutta tesa a presentare lo scautismo come una moderna cavalleria giovanile, ma erano vicini (nel caso di Dalens, membri) all’Action Française. Non solo: anche se solo a Joubert si rimprovera – senza che la questione sia del tutto chiarita – un atteggiamento ambiguo sull’occupazione tedesca, i tre fondatori hanno continuato anche dopo la Seconda guerra mondiale una militanza di destra, che ha portato Dalens nel Front National e Foncine, negli ultimi anni di vita, nella “nuova destra” (peraltro ben lontana dagli ideali cattolici di Signe de piste) del GRECE (Groupement de recherche et d'études pour la civilisation européenne).
Si dimentica però che l’incontro fra scautismo francese e popular culture non nasce con Signe de piste, nonostante l’enorme influenza di quest’ultima collezione. Quando i tre fondatori lanciano Signe de piste il fascicolo scout esiste da ventiquattro anni. Jean de la Hire lo aveva creato con la prima serie di Les Trois Boy-Scouts nel 1913, e la diffusione – come documentano le schede di questa mostra – era stata enorme. Anzi, uno degli scopi di Signe de piste era proprio quello di offrire una risposta cattolica a Jean de la Hire, che era sì diventato con gli anni un militante di destra, ma di una destra positivista e anticlericale. Anche se il suo anticlericalismo non traspariva nei fascicoli, che ambivano a essere acquistati da un vasto pubblico al di là delle divisioni ideologiche, gli scout di de la Hire erano Éclaireurs de France laici e non Scouts de France cattolici. Né di fama straordinaria godeva negli ambienti scout “benpensanti” Arnould Galopin (1865-1934), che nel 1932 aveva cercato di fare concorrenza a de la Hire con Le Tour du Monde d’un Boy-Scout ma che appariva troppo legato al mondo del fascicolo d’avventura di cui le biblioteche parrocchiali erano regolarmente invitate a diffidare.
Tuttavia neppure Signe de piste riuscì a far diminuire l’influenza di de la Hire. Saranno semmai la Seconda guerra mondiale e la Liberazione, con l’arresto di de la Hire come collaborazionista, a dare a Signe de piste un’egemonia. La collana ha così continuato a esistere fino a oggi, anche se negli anni 1950 ha perso consensi a causa della sua scelta di campo a favore dei “Raiders” nelle controversie che dividevano gli Scouts de France (e le omologhe associazioni cattoliche di altre nazioni) fra sostenitori e avversari della creazione di un corpo scout di élite, i “Raiders” appunto (ispirati ai commando e ai paracadutisti della Seconda guerra mondiale), da parte del dirigente scout francese Michel Menu (1916-). Nel momento in cui Signe de piste sostituiva i commando anticomunisti della Guerra Fredda ai cavalieri medioevali come ideali dello scautismo cattolico, una parte di quest’ultimo cominciava a virare verso idee politiche di sinistra e pacifiste e non poteva essere d’accordo.
Ma ormai il fascicolo era morto. Resta da chiedersi quale influenza abbia avuto in Italia. Recenti studi suggeriscono che le statistiche sulla diffusione del fascicolo in Italia fra le due guerre mondiali vadano riviste al rialzo. Non c’è dubbio tuttavia che – rispetto a serie mitiche come Nick Carter o Buffalo Bill – le traduzioni dei cicli scout di de la Hire siano rimaste relativamente poco diffuse. Ma si parla sempre di decine, forse di centinaia di migliaia di esemplari (in Francia, l’unità di misura della diffusione erano i milioni di copie). La prova che un (relativo) successo ci fu è data dai tentativi d’imitazione. Presentiamo così in questa mostra le Avventure di due boy-scouts americani di Fernando (detto Aldo) Bellini (1903-1974), autore di numerose serie di fascicoli per le Edizioni Illustrate Americane di Roma. I boy-scout di Bellini, peraltro, dovevano essere “americani” perché si era ormai nel 1930 e il regime fascista stava vietando lo scautismo in Italia, sostituendolo con i Balilla. Anche se un’attività clandestina rimaneva – la cosiddetta “Giungla silente” – il fascicolo popolare che voleva ispirarsi alle storie francesi di scout doveva ormai trasformarli in Balilla. Nascono così a Torino nel 1936 le Avventure coloniali di due balilla, esempio paradossale e un po’ grottesco di come lo “stile de la Hire” poteva essere messo al servizio della propaganda. Ma de la Hire continuava ad avere estimatori in Italia, come testimoniano le numerose ristampe del dopoguerra, che arrivano fino al 1956, cioè veramente agli ultimi fuochi del fascicolo popolare nel nostro paese.
Popular culture e percorsi educativi
Quella dei rapporti fra fascicolo popolare e scautismo è, come si è visto, una strana storia, dove entrano anticlericali e cattolici ferventi, militanti dell’Action Française e socialisti. Eppure una storia dove la proposta educativa scout mitizzata dalla popular culture e dal fascicolo popolare conserva una sua specificità e un suo stile unitario. “Il gioco, l’azione, l’avventura, il contatto con la natura, la vita di squadra” evocati da Papa Benedetto XVI nella sua Lettera all’Em.mo Card. Jean-Pierre Ricard, Presidente della Conferenza Episcopale di Francia, in occasione del centenario dell’esperienza degli scout sono certamente stati trasmessi anche nei fascicoli popolari, pure non esenti dai difetti e dalle critiche che molti hanno loro mosso. Anche se l’incontro con il Vangelo e la proposta di un vero “cammino di santità” pure citati nel documento pontificio a proposito di quello scautismo che, anzitutto in Francia, è stato trasformato dall’incontro con la Chiesa brillano invece per la loro assenza nella stragrande maggioranza dei fascicoli popolari (diverso è il discorso per i romanzi e per Signe de piste, che però cadono fuori da questa ricerca). Ma qui si apre un altro discorso: quello su come la popular culture moderna si sia costruita per la sua gran parte al di fuori dell’esperienza religiosa, e questo a prescindere dalle scelte e dalle opinioni dei singoli autori. Ma quello che non è avvenuto - o è avvenuto raramente - nella storia del fascicolo popolare è invece avvenuto nella storia concreta del movimento scout, nella vita reale e non sulla carta. In questo senso, fascicoli e storia divergono. Nella storia dello scautismo italiano e francese gli scout cattolici non sono diventati maggioranza tra i protagonisti dei fascicoli, ma lo sono diventati nel concreto divenire dell'esperienza scout. Anche l'elemento di "gioco" e di "avventura", così importante nel fascicolo popolare - come ricordano i vescovi del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana nella lettera che hanno a loro volta voluto inviare agli scout cattolici italiani per il centenario - nell'esperienza dello scautismo cattolico non è eliminato, ma è per così dire trasfigurato dall'incontro con il Vangelo. Abbiamo voluto scegliere questo aspetto dello scautismo - certo non esclusivo né escludente, ma maggioritario - per raccogliere nella seconda sala alcuni testi che mostrano come dagli scout immaginari (ma non senza una qualche loro influenza) si è passati nell'esperienza concreta a impegnativi percorsi di carattere pedagogico ed educativo. Giacché la letteratura sul magistero dei Papi in materia di scautismo fino a Giovanni Paolo II è abbondantissima, ci siamo concentrati su Benedetto XVI e sugli echi che il suo magistero ha incontrato in Italia. Questo conferisce, crediamo, alla nostra mostra - che non vuole essere soltanto storica - un elemento di attualità, mentre la inserisce negli eventi e nelle celebrazioni nati in occasione del centenario del 2007, ma che si proiettano verso gli anni successivi.
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